Von Balthasar-Giussani. La gara moderna per la libertà
Il compito del cristiano: “essere per”
Don Giussani sottolinea che «tutta la nostra salvezza è nell’accettazione integrale del Fatto di Dio nella nostra vita. Qui sta ogni nostra giustizia. E la giustizia, biblicamente, è la situazione dell’uomo liberato dal male, tolto dalla grettezza della sua misura e riconsegnato alla libertà della misura di Dio» (p. 123). Perciò la vita cristiana è «cammino dell’uomo verso l’attuazione di una autentica moralità umana, perché poggiata sul riconoscimento di Gesù Cristo» (p. 126).
C’è in queste parole una esaltazione unica del tempo e della storia - altro che svalutazione della tradizione! -: «Il Fatto cristiano, che domina su tutto, opera questo suo dominio realizzandosi attraverso i singoli momenti del tempo» (p. 135). In questo senso, «un’urgenza capitale della vita del cristiano è che il Fatto di Cristo diventi storia personale e adulta» (p. 136).
La storicità è una categoria centrale del cristianesimo, dal momento che Dio si è incarnato. Questo significa che «il destino e l’intenzione profonda della comunità cristiana è il mondo, “per gli uomini”: una dedizione profonda e appassionata agli uomini e al loro destino, una tensione a rendere presente dentro la trama della convivenza solita, in cui gli uomini soffrono, sperano, tentano, negano, attendono il senso ultimo delle cose, il Fatto di Gesù Cristo unica salvezza degli uomini. Il “per gli uomini” è il motivo storicamente esauriente la vita della comunità cristiana» (p. 139).
Joseph Ratzinger, teologo molto stimato da Balthasar e grande amico di don Giussani, ha scritto in proposito: il suo “essere per” è la «espressione della figura fondamentale dell’esistenza cristiana e della Chiesa in quanto tale [...]. Cristo, in quanto unico, era ed è per tutti e i cristiani, che nella grandiosa immagine di Paolo costituiscono il suo corpo in questo mondo, partecipano di tale essere-per». Cristiani «non si è per se stessi, bensì, con Cristo, per gli altri». Perciò «assieme al Signore che abbiamo incontrato andiamo verso gli altri e cerchiamo di render loro visibile l’avvento di Dio in Cristo».
Questo “essere per” è il più grande atto di amicizia che possiamo compiere nei confronti dei nostri fratelli uomini: comunicare, rendere partecipi tutti del dono che abbiamo ricevuto.
E mi stupisce come questo “essere per” coincida con l’atteggiamento e con ogni mossa di papa Francesco: «L’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia. Tutto della sua azione pastorale dovrebbe essere avvolto dalla tenerezza con cui si indirizza ai credenti; nulla del suo annuncio e della sua testimonianza verso il mondo può essere privo di misericordia». Continua: «La credibilità della Chiesa passa attraverso la strada dell’amore misericordioso e compassionevole. La Chiesa “vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia”. […] È giunto di nuovo per la Chiesa il tempo […] del ritorno all’essenziale per farci carico delle debolezze e delle difficoltà dei nostri fratelli […] per guardare al futuro con speranza». Questa è la natura del cristianesimo, come proposta per l’uomo di ogni tempo.
Nelle ultime pagine di questo libro don Giussani afferma: «È la conoscenza della potenza di Gesù Cristo la ragione profonda di ogni nostro gesto di presenza sociale e di comunicazione al mondo: ma questa motivazione unica e originalissima non diviene evidente se non nella testimonianza di una passione per l’uomo, carica di accettazione della situazione concreta in cui esso si trova, e, quindi, pronta a ogni rischio e a ogni fatica» (p. 140).
Una grande gioia. Evangelii gaudium
Non è forse questa la ragione profonda che anima l’Evangelii gaudium, che la Chiesa ci invita ad assumere come programma di vita? Testimoniare la gioia di chi ha «ricevuto una grande grazia», come dice Péguy.
Secondo Balthasar, infatti, «l’annuncio di gioia, Eu-angelion, primariamente non è un oggetto di fede o di scienza, tanto meno un programma di azione, ma la ricezione di una “grande gioia”» (p. 51).
Analogamente, per Giussani «l’“annuncio” segna la metodologia con cui il Fatto cristiano oggi può ancora diventare fattore di movimento tra la gente» (p. 99). E aggiunge: «Il Fatto di Dio che è Cristo è luce della nostra vita: una possibilità magari tenue, iniziale ma indistruttibile, innegabile, di chiarezza su di noi e sulla realtà» (p. 107). Da questa esperienza scaturisce la passione di comunicarlo: «Ciò che abbiamo veduto e sentito, lo annunziamo anche a voi».
Scrive san Paolo ai cristiani della Galazia: «Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi». E ancora: «Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà». Dio si è fatto carne per questo, Gesù è morto e risorto per questo. Nella Sua compagnia potremo essere un bene per tutti, offrendo una testimonianza di libertà - «uno dei più preziosi doni che i cieli abbiano mai donato agli uomini» (Cervantes) - perché legati all’Unico che consente di stare nella realtà, dentro le circostanze di tutti, senza presunzione ma poveri, con «questa dolorosità umile e paziente, tanto più abbandonata alla potenza del Fatto quanto più impegnata e vigilante, acuta, struggente, del proprio limite e della propria possibilità di male, che attende tutta la ricchezza del suo essere e della sua personalità dal Fatto di Gesù Cristo, in cui è coinvolta» (p. 130).
Mi auguro che la lettura di questo libro susciti il desiderio di correre la gara per la libertà alla quale non si sono sottratti i due autori, per «divulgarla nel modo più effettivo e profondo» (p. 24).